Il progetto Cloudwords: oltre le parole. Le parole esprimono concetti, il significato dei concetti che stanno alla base di un progetto informatico in generale e di trasformazione digitale nello specifico, sono gli elementi distintivi di un approccio metodologico di successo.
03 Maggio 2022
#digitaltransformation#cloudwords
Le nostre "Cloudwords". Episodio 5: Dati.
Solo numeri, informazioni o conoscenza?
Dati e dato sembrerebbero le parole più banali dell''intero linguaggio IT. In realtà è un termine subdolo: in italiano e in latino (da cui deriva l'inglese) è il participio di dare. È una informazione che ‘si è data’, si è arresa al nostro sguardo, sembrerebbe giacere passivo, evidente in un certo senso concluso. Non è proprio così.
Quando si reingegnerizza un processo in ottica digitale e lo si gestisce con strumenti tecnologici, lo si dovrebbe fare anche per ottenere immediatamente una marea di dati, o per meglio dire di numeri. Che differenza c’è fra un numero e un dato? Il numero diventa dato (‘si dà’) appunto quando ne conosciamo la storia ed il suo contesto e soprattutto quando siamo in grado di metterlo in relazione a qualcosa d’altro.
Allora sì che i dati si trasformano da informazione a conoscenza, anzi insight. Conoscenza che può diventare strategica per aprire una visione più profonda, articolata e trasversale dello scenario di business o di produzione che si sta affrontando.
Se sono da soli, se non ne conosciamo 'vita, morte e miracoli', i dati possono essere pericolosi perché nel migliore dei casi non servono a nulla, nel peggiore ci portano a prendere decisioni errate.
I dati, come il petrolio, inquinano.
Definire i dati ‘il petrolio del 2000’ è ormai una frase fatta, ma non è una metafora malvagia. Un'altra metafora potrebbe essere ‘il sangue di una organizzazione moderna’, ma teniamo quella più usata.
Come il petrolio, i dati devono essere ricercati, estratti, raffinati, distribuiti e occorrono una struttura, conoscenze e tecnologie adeguate per farlo. Come il petrolio, i dati sono ricchezza e non lo sono perché rappresentano un bene in se come l’oro, ma perché sono alla base del 'funzionamento' dei processi, delle macchine e delle decisioni strategiche di valore. Come il petrolio, il dato può inquinare se è mal strutturato, male immagazzinato, male utilizzato o non mantenuto correttamente.
Big data non vuol dire solo 'tanti dati'.
Oggi si parla tanto di Big Data, ma cosa si intende esattamente con questa locuzione? Big Data non è una grande quantità di dati, o meglio la quantità è una sua caratteristica secondaria. Se così fosse sarebbe forse un problema, più che una risorsa. I Big Data sono un insieme trasversale ed eterogeneo di dati, un insieme che mette in relazione serie di dati che apparentemente non hanno nulla a che fare una con l'altra, 'unite' però nel disegno del tutto.
Un esempio? Un algoritmo e i Big Data per aprire le chiuse.
Cloudhero ha concluso un progetto per una azienda che gestisce alcuni bacini idroelettrici. Si voleva capire come produrre più efficientemente e quando fosse necessario aprire le chiuse (e di quanto) per azionare le turbine (e per quanto tempo) e fornire energia elettrica al territorio. In passato si aprivano le chiuse quando il livello dell'acqua nei bacini superava una certa altezza; efficiente? Si; il modo più efficiente possibile? Forse no.
Con l'introduzione di un algoritmo che valorizzasse i dati e che mettesse in relazione da una parte dati meteo (serie storiche e previsioni sulle precipitazioni e lo scioglimento dei ghiacciai) dall’altra i consumi elettrici giornalieri e orari del territorio servito (anche qui serie storiche e previsioni) e i prezzi dell’energia quotati in tempo reale nella borsa elettrica. La possibilità e la convenienza di aprire le chiuse e far girare le turbine dipende in realtà dal rapporto fra queste tre serie di dati apparentemente lontani tra loro. Sembra banale, ma uno scenario di sfruttamento dei Big Data apre a nuovi modi di gestire scenari complessi in modo nuovo e innovativo prima impossibile da percorrere.
Data analysis o semplice reportistica?
Oggi le aziende affermano di fare ‘data analysis’. In realtà quando si va in profondità si scopre che, per molte di loro, si tratta di una semplice reportistica. “Le nostre vendite di gelati sono scese del 2% in marzo. Andiamo male”. Ecco un dato non solo insignificante ma subdolo.
Magari quel marzo è stato il più caldo del secolo e allora non va male, va malissimo, perché storicamente la temperatura media è direttamente proporzionale al consumo di questo prodotto che avrebbe quindi dovuto registrare un aumento delle vendite. Oppure è stato un mese in cui ,data la contrazione del potere di acquisto, i consumi voluttuari sono scesi del 5% e allora -2 è un valore confortante: “la gente ha meno soldi ma ai nostri prodotti rinuncia malvolentieri”. Ecco che il numero diventa un dato e può portare a delle valutazioni.
Oggi si parla di aziende e processi ‘data driven’ nei quali le decisioni non sono prese a caso o per intuizione ma sono fondate su solide basi. Benissimo, ma attenzione: Il dato da solo non ‘dà’ proprio nulla!
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